Recupero credito condominiale: inutilità della messa in mora al condòmino moroso.È quanto affermato dal Tribunale di Roma con la sentenza n. 2053 del 5 febbraio 2021, dando seguito ad un orientamento ormai consolidato anche nella giurisprudenza di legittimità (Cassazione Civile n. 21313/2017).Secondo l’orientamento giurisprudenziale maggioritario, pertanto, l’Amministratore di Condominio che agisce in giudizio per il recupero dei crediti condominiali, non è obbligato a inoltrare al condòmino moroso la previa diffida e messa in mora.L’Amministratore, inoltre, in adempimento del proprio mandato, può (anzi deve) agire – tempestivamente – per il recupero del credito, anche senza una delibera autorizzativa in tal senso.Per l’emissione del decreto ingiuntivo provvisoriamente esecutivo, pertanto, sarà sufficiente l’approvazione del piano di ripartizione da parte dell’assemblea condominiale.Delegare, continuativamente, il processo di recupero crediti condominiali, ti consentirà di garantire la tempestività e circolarità dei pagamenti, ma, soprattutto, di adempiere ai tuoi doveri di Amministratore di Condominio ai sensi degli artt. 1129 e 1130 del codice civile.
Nonostante l’approvazione (ormai remota) di una specifica disciplina in merito, nella realtà dei fatti, il superamento delle barriere architettoniche rimane un problema spesso fonte di profondi dissidi, quasi esclusivamente di natura economica, fra i condòmini. Nel corso degli anni, numerose sentenze hanno fornito una sorta di elenco da cui trarre la categoria delle barriere architettoniche e, in particolare, queste sono state definite come:
Ostacoli fisici;
Ostacoli che limitanoovvero impediscano a chiunque un comodo o sicuro utilizzo degli spazi esclusivi o comuni;
Mancanza di accorgimenti e segnalazioni che permettano l’orientamento e la riconoscibilità dei luoghi e delle fonti di pericolo, in particolare per i non vedenti, gli ipovedenti ed i sordi.
La sempre crescente presenza di persone con disagi e di condomini sempre più vecchi, ha portato i giudici, in linea generale, a considerare legittime, sia le delibere che approvano i lavori che le installazionirealizzate a cura e spese del singolo condomino quand’anche la delibera o i lavori siano in violazione del regolamento di condominio. L’unico limite comunemente riconosciuto è rappresentato dal rispetto della sicurezza e della salubrità del condominio, nonché della tutela del decoro architettonico. Ciò allo scopo di non generare diminuzioni di valore negli immobili.
Le sentenze della Cassazione hanno poi costantemente introdotto in questi anni principio di solidarietà condominiale che impone un contemperamento di interessi, partendo dal presupposto che quelli di rimozione di barriere architettoniche non sono interventi inutili o voluttuari, bensì mezzi di attuazione del diritto fondamentale della persona a poter fruire o fruire con maggiore comodità del proprio immobile.
La legge di conversione del d.l. n. 125 del 2020 ha modificato l’art. 66, disp. att. cod. civ., stabilendo che per la partecipazione all’assemblea da remoto è sufficiente il consenso della maggioranza dei condomini. Questa maggioranza è da intendersi alla lettera, ossia con riguardo al solo conteggio “per teste”. Inoltre, se da un lato il previo consenso richiesto alla maggioranza, legittima lo svolgimento dell’assemblea indipendentemente da una mancata previsione in tal senso del regolamento condominiale, dall’altro sembrerebbe ricavarsi che questo consenso sia riferito alla singola riunione, di tal che questo dovrebbe essere rinnovato per quelle successive. Ciascun consenso, però, non è necessario che sia esplicito ben potendo essere implicito o ricavabile da fatti concludenti.
Molto spesso accade che l’ordine del giorno si presenti piuttosto vago, tanto da eludere il principio per cui ogni condomino ha diritto a prendere parte alla riunione informato di ciò di cui si discuterà. È proprio questo il caso della voce «varie ed eventuali» che spesso conclude l’ordine del giorno notificato all’interno dell’avviso di convocazione. Secondo la dottrina e la giurisprudenza prevalenti, le «varie ed eventuali» sono un grande calderone in cui inserire solamente aspetti secondari della vita condominiale. Al più è possibile deliberare in ordine a spese minime, ma nient’altro. Di conseguenza è da annullare l’approvazione di deliberazioni particolarmente rilevanti concernenti argomenti non posti all’ordine del giorno e di cui i condomini non sono stati previamente avvisati. La stessa giurisprudenza, in particolare, sostiene che tale voce, pur consentendo la discussione in sede assembleare di qualsiasi argomento, ancorché lo stesso non figuri espressamente nell’ordine del giorno, nessuna deliberazione, a pena di annullabilità, può invece essere assunta all’esito della discussione medesima, dovendosi rimandare, quindi, ad una successiva riunione (inserendola all’ordine del giorno).
Ad oggi nessuna norma di legge prevede specifici requisiti che il revisore condominiale debba obbligatoriamente possedere per poter svolgere tale funzione.
Detto questo, però, si ritiene comunque necessario che l’incarico sia buona cosa attribuirlo ad un professionista con particolari conoscenze in materia data la complessa disciplina che la riforma del 2012 ha introdotto rispetto al rendiconto condominiale.
Oggetto di revisione possono essere uno o più esercizi finanziari che dovranno essere indicati dall’assemblea (o dall’autorità giudiziaria) al momento della nomina del revisore, che può avvenire in qualsiasi momento, indipendentemente da eventuali irregolarità contabili già riscontrate o presunte.
La nomina del revisore avviene con le maggioranze previste per la nomina dell’amministratore ed il suo compenso è ripartito fra tutti i condomini in proporzione ai millesimi di proprietà.
L’attività del revisore concerne principalmente un controllo sulla contabilità che potrà essere più o meno penetrante a seconda delle specifiche situazioni in cui costui si trova ad operare.
Uno dei primi aspetti da considerare sempre in caso di modifiche alla struttura originaria e alla fisionomia degli edifici condominiali è il decoro architettonico dell’intero stabile.
Per “decoro architettonico”, la giurisprudenza intende “l’estetica data dall’insieme delle linee e delle strutture che connotano il fabbricato stesso e gli imprimono una determinata, armonica, fisionomia”. S’incorre in violazione di tale armonia ogniqualvolta si operi nel senso di modificare l’originario assetto del fabbricato, variando anche soltanto “singoli punti o elementi”, indipendentemente dalla valenza estetica o artistica dell’edificio. La valutazione del pregiudizio al decoro architettonico va effettuata comunque caso per caso, accertando se, in concreto, gli interventi edilizi posti in essere abbiano effettivamente apportato modifiche di rilievo in senso negativo al decoro e all’estetica dell’edificio.
Inoltre, ricordiamo che ogni condomino può trarre utilità dalla facciata comune, maggiore o più intensa rispetto a quella degli altri comproprietari (nel rispetto del decoro architettonico e) senza pregiudicare il pari uso che costoro ne possono fare e senza alterarne la destinazione economica tipica.
Per tutti i motivi (alcuni dei quali alquanto problematici) appena enunciati, il regolamento condominiale può prevedere alcuni limiti più stringenti, fino a vietare qualsiasi mutamento della facciata e dell’aspetto generale dell’edificio rispetto a quello originario.
Anche ove questi divieti assoluti non fossero previsti, resta il fatto che la compatibilità della veranda con il decoro architettonico deve essere necessariamente verificata, volta per volta, alla luce di una serie di parametri forniti in materia dalla giurisprudenza:
rispetti il decoro architettonico dell’edificio;
non arrechi pregiudizio agli altri condomini;
assicuri un pari uso del bene comune.
Da tutto questo discorso ne discende, quindi, un dato a cui prestare attenzione: l’alterazione del decoro architettonico dell’immobile condominiale può ben correlarsi alla realizzazione di opere che non mutano l’originario aspetto anche soltanto di singoli elementi o punti del fabbricato, tutte le volte che la modifica sia suscettibile di riflettersi sull’insieme dell’aspetto dello stabile – cosa che accade nell’ipotesi della realizzazione di una veranda che dia luogo a discordanze nel prospetto, e ne modifichi l’unità stilistica senza che occorra peraltro che si tratti di edifici di particolare pregio artistico.
A questo, infine, va aggiunto che l’estetica del fabbricato è data dall’insieme dei suoi elementi architettonici e strutturali e non dal contesto in cui lo stesso si colloca. I valori architettonici, pertanto, vengono impressi dal complesso delle linee e delle strutture ornamentali che costituiscono la nota dominante dell’edificio e non dall’impatto dell’ambiente circostante.
Autorizzazioni amministrative ed assembleari
In linea generale, ciascun condomino ha il diritto di trasformare in veranda il balcone di sua proprietà senza richiedere alcuna autorizzazione, salvo che ciò sia espressamente richiesto dal regolamento di condominio accettato da tutti (regolamento contrattuale). I poteri dell’assemblea condominiale, infatti, riguardano la disciplina dell’uso delle cose comuni e non possono mai incidere sulla sfera delle proprietà individuali.
Il regolamento può invece prevedere che qualsiasi modificazione al fabbricato che comporti una alterazione del decoro architettonico o della facciata debba ottenere la preventiva autorizzazione da parte dell’assemblea. Queste disposizioni, quindi, astrattamente suscettibili di incidere anche sulla sfera del dominio personale esclusivo dei singoli partecipanti, in concreto lo sono soltanto nei limiti in cui ciò si riveli necessario in funzione della salvaguardia del bene comune.
Allo stesso modo, l’autorizzazione assembleare risulta necessaria qualora la realizzazione del manufatto possa arrecare pregiudizio ad alcuni condomini, o perché non vengano rispettate le distanze legali fra le due proprietà. In questa seconda ipotesi, è opportuno che l’autorizzazione venga formalizzata con atto notarile e successiva trascrizione presso la Conservatoria dei registri immobiliare.
Le limitazioni imposte, alla costruzione di opere di questo, come di altro tipo, non provengono soltanto dall’assemblea ma anche dalla pubblica amministrazione e, in particolare, dai vari Comuni: ognuno di essi può, nel proprio territorio di competenza, emanare un apposito regolamento per disciplinare le suddette attività. Pertanto, prima di procedere alla realizzazione del manufatto in analisi, risulta fondamentale prestare attenzione ai regolamenti comunali i quali, in alcune ipotesi, potrebbero addirittura contenere delle disposizioni meno restrittive rispetto alla disciplina nazionale.
Revisione delle tabelle millesimali
Questa operazione, ricordiamo, andrà posta in essere soltanto nell’ipotesi in cui la veranda realizzata mediante chiusura di un balcone o terrazza preesistente abbia effettivamente mutato le condizioni dell’immobile a cui afferisce, determinando un incremento di superfici o alterato il valore proporzionale della proprietà esclusiva per più di un quinto.
GAZEBO IN CONDOMINIO
Procedura corretta per l’installazione
Sia in caso di realizzazione di un gazebo sul proprio terrazzo, che nel giardino condominiale, è necessario dare una preventiva comunicazione, mezzo raccomandata, al proprio amministratore, in quanto la realizzazione di tale opera potrebbe modificare la destinazione d’uso di determinate parti comuni o alterare l’estetica complessiva dell’edificio condominiale.
Inoltre, l’installazione di questi manufatti non sempre è libera da vincoli o disposizioni di legge che potrebbero imporre, per opere di un determinato tipo (come alcuni gazebo), la presentazione di una SCIA o la richiesta di un PdC. Per una corretta identificazione del titolo abilitativo da richiedere per la costruzione del gazebo è necessario rilevare la dimensione e la funzione del medesimo. Secondo un principio generale, i gazebo sono di regola opere che non rappresentano costruzioni vere e proprie, ma hanno caratteristiche di precarietà strutturale e funzionale, destinate a soddisfare esigenze contingenti e circoscritte nel tempo, esenti dunque dall’assoggettamento a permesso di costruire. Invece, se sono funzionali a soddisfare esigenze permanenti, vanno considerati manufatti alteranti lo stato dei luoghi, con un sicuro incremento del carico urbanistico, a nulla rilevando la precarietà strutturale del manufatto, la rimovibilità della struttura e l’assenza di opere murarie, posto che il gazebo non precario non è deputato ad un suo uso per fini contingenti, ma è destinato ad un utilizzo per soddisfare esigenze durature nel tempo e rafforzate dal carattere permanente e non stagionale dell’attività svolta.
L’ipotesi del gazebo sul lastrico solare
Avviene piuttosto di frequente che il lastrico solare anziché essere di proprietà comune di tutti i condomini, appartiene soltanto ad alcuni (o ad uno) dei condomini.
L’esistenza della proprietà esclusiva dà vita ad una particolare situazione di concorrenza di diritti: quello di copertura dell’edificio, a vantaggio del proprietario esclusivo, o di chi ne ha l’uso esclusivo. Possiamo individuare i limiti al godimento del lastrico, da parte del proprietario esclusivo:
le modificazioni o gli atti di godimento del lastrico solare non devono essere operati a scopo emulativo
tutte le opere poste in essere dal singolo condomino non devono essere contrarie alle norme previste dal regolamento condominiale;
il proprietario esclusivo non può, nell’esercizio del proprio diritto, arrecare comunque pregiudizio alla funzione di copertura cui la terrazza, o il lastrico solare, naturalmente assolve;
Il proprietario esclusivo del lastrico solare non può compiere alcun atto di godimento, o di modificazione del suo bene, se ciò comporta un danno al decoro dell’edificio, poiché, evidentemente, ne deriverebbe una diminuzione patrimoniale del valore dell’intero edificio e, quindi, una violazione dei diritti degli altri condomini.
Infine, proprio in riferimento a quest’ultimo limite, la Cassazione ha stabilito che non è consentito costruire (e, nel caso sia già stato costruito, va rimosso) un gazebo fatto con materiali che contrastano con quelli usati per il terrazzo condominiale, anche se l’edificio non ha pregi architettonici e la costruzione del manufatto è stata eseguita sulla parte del lastrico solare di cui il proprietario dell’appartamento dell’ultimo piano ha l’uso esclusivo. A tale proposito, infatti, il giudice deve valutare anche se l’opera permette la salvaguarda della fisionomia unitaria dell’edificio.
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Il tetto viene definito come l’insieme delle opere destinate a preservare l’interno dell’edificio dagli agenti atmosferici, nella sua parte superiore. Il solaio ed il sottotetto, non adempiendo ad alcuna funzione di copertura non vanno ricompresi tra le parti comuni.
Il codice civile all’articolo 1117 annovera il tetto tra le parti comuni dell’edificio, la cui proprietà indivisa spetta pro-quota ai singoli condomini.
L’articolo 1123 del codice civile in materia di ripartizione delle spese tra condomini stabilisce la regola generale secondo la quale “le spese necessarie per la conservazione e per il godimento delle parti comuni dell’edificio, per la prestazione dei servizi nell’interesse comune e per le innovazioni deliberate dalla maggioranza, sono sostenute dai condomini in misura proporzionale al valore della proprietà di ciascuno salvo diversa convenzione“.
Il comma secondo del suddetto articolo 1123, prevede un’importante deroga al principio della ripartizione delle spese in relazione al valore della proprietà. Esso infatti sancisce che: “se si tratta di cose destinate a servire i condomini in misura diversa, le spese sono ripartite in proporzione dell’uso che ciascuno può farne.”
Dall’enunciato comma si desume che, nel caso in cui il tetto copra l’intero edificio, le spese di manutenzione devono essere sostenute da tutti i condomini in base ai millesimi di proprietà. Se però le spese riguardano un tetto che, per la conformazione dello stabile, copre solo una parte dell’edificio o parti di edificio in misura differente, le stesse devono essere ripartite solo tra i condomini proprietari delle unità immobiliari coperte dal tetto.
Lo stesso dicasi nell’ipotesi in cui il tetto copra in misura differente diverse abitazioni. In questo caso le spese andranno ripartite in proporzione alla superficie coperta dal tetto oggetto di rifacimento.
L’espressione “in misura diversa” contenuta al secondo comma dell’articolo 1123, si riferisce alla possibilità che uso e godimento del bene, siano diversi per i singoli condomini, a prescindere dall’entità delle quote, a causa di circostanze evidenti in base alla struttura del bene ed alla destinazione di esso, quale risulta dallo stato dei luoghi
La succitata disposizione è da considerarsi norma speciale rispetto al principio generale sancito dall’articolo 1110 del codice civile, in base al quale le spese debbono gravare su tutti i partecipanti in proporzione al valore delle quote di ciascuno di essi.
L’articolo 1123 prende in considerazione infatti una realtà complessa, come quella del condominio, che per struttura e problematiche diverge notevolmente rispetto a quella più semplice della comunione.
Tale norma speciale è ispirata ad una esigenza di disciplina che meglio si adatta alle specifiche caratteristiche del condominio negli edifici, ove le parti comuni hanno una precisa funzione strumentale rispetto alle parti in proprietà esclusiva dei singoli condomini, delle quali esse sono a servizio.
La ratio del secondo comma dell’articolo 1123 del codice civile, deve essere ravvisata nell’opportunità di stabilire un criterio di ripartizione fondato sull’utilità che il bene apporta a favore dei singoli condomini, sul presupposto che tale utilità può senza dubbio divergere da condomino a condomino.
La regola generale di ripartizione delle spese ai sensi degli articoli 1117 e 1123 1° comma del codice civile, è applicabile “solo se la cosa comune in relazione alla sua consistenza e alla sua funzione sia destinata a servire ugualmente ed indiscriminatamente le diverse proprietà” (Cass. Civ. sez II, 23.12.1992 n. 13655).
Così la Corte di Cassazione in sentenza n. 7077 del 22.06.1995: “In tema di condominio di edifici il principio di proporzionalità tra le spese ed uso di cui al secondo comma dell’articolo 1123 del codice civile, secondo cui le spese per la conservazione ed il godimento delle parti comuni dell’edificio sono ripartite, qualora si tratti di cose destinate a servire i condomini in misura diversa, in proporzione dell’uso che ciascuno può farne, esclude che le spese relative alla cosa che in nessun modo, per ragioni strutturali o attinenti alla sua destinazione, può servire ad uno o più condomini possano essere poste anche a carico di quest’ultimi”. Lo stesso principio è ribadito dalla giurisprudenza di legittimità nelle sentenze n. 6359/1996 e n. 5458/1986 della Corte di Cassazione.
Il criterio applicabile è pertanto, quello della proporzionalità tra spese ed uso o ancor più esattamente tra spese ed utilità arrecata.
E’ evidente che per estensione analogica, così come i condomini che non traggono utilità dall’intervento non debbono sostenere alcuna spesa, così ove essi traggano un’utilità minore rispetto ad altri condomini, debbono si partecipare alla ripartizione delle spese, ma in misura minore, in termini di percentuale.
Una ripartizione che non tenga in considerazione la differenza in termini di superficie tra le varie abitazioni, lederebbe ingiustamente i diritti degli abitanti di quegli appartamenti, che per esiguità di superficie o per parzialità di copertura si vedrebbero costretti a contribuire alle spese nella stessa misura di chi trae dalla copertura un’utilità maggiore.
Per ciò che concerne i soggetti obbligati a sostenere seppure in misura diversa le spese per il rifacimento del tetto, nulla quaestio, sulla esclusione dalla contribuzione dei condomini che non traggono dal rifacimento alcuna utilità. Ciò in ossequio al 3° comma dell’articolo 1123 il quale espressamente sancisce che: “qualora un edificio abbia più scale, cortili, lastrici solari, opere o impianti destinati a servire una parte dell’intero fabbricato, le spese relative alla loro manutenzione sono a carico del gruppo di condomini che ne trae utilità”.
Il condominio non nasce per effetto di un formale atto di costituzione ma è sufficiente che in un edificio vi siano, da un lato, una separazione delle proprietà delle distinte unità immobiliari che lo compongono e, dall’altro, la presenza di parti aventi la funzione di servire all’uso e al godimento delle parti di proprietà esclusiva.
Dal punto di vista giuridico, per effetto della prima compravendita o assegnazione, sorge una presunzione legale di comunione indivisa di quei beni, impianti e servizi del fabbricato che, per ubicazione e struttura siano, in tale momento, destinati all’uso comune ovvero a soddisfare esigenze generali e fondamentali del condominio stesso.
Tutto questo, salvo che dal primo rogito o dal primo regolamento contrattuale non risulti una chiara ed inequivoca volontà di riservare esclusivamente ad un condomino la proprietà di suddette parti.
Con la riforma del 2012, tra le altre cose, si è recepita una nozione di condominio non più limitata soltanto ad edifici a sviluppo verticale ma aperta a ricomprendere sotto di sé anche complessi edilizi sviluppati orizzontalmente, come le villette a schiera.
L’articolo 2, comma 1 del Dpcm dell’8 marzo 2020, alla lettera b), ha sospeso gli eventi di qualsiasi natura svolti in ogni luogo sia pubblico che privato e quindi anche le assemblee di condominio. In contesti come questo, i contatti ravvicinati sono quasi inevitabili e spesso del tutto involontari. Le sospensioni e i rinvii delle convocazioni sono quindi una scelta giusta, che solo a torto potrebbe essere rimproverata all’amministratore. Riconfigurare le relazioni in teleconferenza diventa così una misura di prevenzione (nonché di innovazione) destinata a diffondersi in questo periodo di emergenza (e, perché no, anche in seguito).
In dettaglio, il luogo di convocazione dell’assemblea diventa lo studio dell’amministratore (o il suo domicilio) purché dotato di connettività in larga banda di almeno 100 mbs in download e 20 mbs in upload.
La partecipazione alla riunione può avvenire in tre modalità: – in video conferenza, svariate le piattaforme da utilizzare tra Whereby e Skype;
– per telefono al numero indicato;
– uso della delega con singole e desiderata espressioni di voto;
La verifica delle presenze dei collegati è effettuata dal presidente con riconoscimento diretto. Le deleghe saranno conferite normalmente in forma scritta per via telematica.
Il calcolo delle maggioranze è realizzato in tempo reale grazie all’utilizzo delle funzioni di composizione del verbale che sono offerti dalla gran parte dei software di gestione condominiale. In alternativa si possono utilizzare appositi applicativi forniti da Google o Microsoft.
Non possiamo, infine, esimerci dal ricordare che, in situazioni del genere la valutazione del buon esito dell’assemblea a distanza è strettamente legata al buon senso e alla volontà contenziosa dei condòmini.
E’ opportuno specificare che allo stato attuale le assemblee di condominio in videoconferenza non sono praticabili, in quanto non previste dalla legge attualmente in vigore.
L’infrastrutturazione urbana per la transizione alla mobilità elettrica passa anche attraverso l’intervento sugli edifici, sia nuovi che esistenti, sia residenziali che terziari. Volendo schematizzare, il quadro è il seguente:
– Edifici non residenziali In tutti gli edifici non residenziali di nuova costruzione o sottoposto a ristrutturazioni importanti e dotati di più di 10 posi auto, è prevista l’installazione di almeno un punto di ricarica e la predisposizione per almeno 1 posto su 5. Tale prescrizione diventa obbligatoria nel caso in cui il parcheggio sia situato all’interno dell’edificio oppure sia adiacente ad esso e, in ipotesi di ristrutturazioni importanti, le misure di ristrutturazione riguardino il parcheggio o le infrastrutture elettriche dell’edificio.
– Edifici residenziali Analoghe prescrizioni riguardano gli edifici residenziali di nuova costruzione o sottoposti a ristrutturazioni importanti e dotati, anch’essi, di più di 10 posto auto. In questo caso è prevista l’installazione, in ogni posto auto, di infrastrutture di canalizzazione (per poter installare colonnine in una fase successiva). Anche in questo caso, la prescrizione diventa obbligatoria se il parcheggio è situato all’interno dell’edificio oppure nelle sue adiacenze e, in ipotesi di ristrutturazioni importanti, le misure di ristrutturazione riguardino il parcheggio o le infrastrutture elettriche dell’edificio
– Deroghe Il decreto regolatore della materia prevede deroghe in caso di: o Edifici di proprietà di piccole e medie imprese o Presentazione di domande per il rilascio del permesso di costruire entro il 10/03/2021 o Costo delle installazioni di ricarica e di canalizzazione che supera il 7% del costo totale della ristrutturazione importante da effettuare o Problemi sostanziali per il funzionamento del sistema locale di energia e per la stabilità della rete locale
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