
- Animali domestici e regolamento condominiale
L’art. 1138 c.c., al comma 5, prevede espressamente che le norme del regolamento condominiale non possono vietare di possedere o detenere animali domestici. In proposito, inoltre, appare corretta la precisazione di autorevole dottrina secondo cui dopo le modifiche del legislatore del 2012, gli ultimi due capoversi dell’art. 1138 c.c., si dovrebbero leggere nel senso che tutti i regolamenti, anche quelli non assembleari, non possono menomare, non possono derogare, e comunque non possono vietare di possedere o detenere animali domestici in quanto il nostro ordinamento riconosce e tutela il rapporto uomo-animale quale interesse giuridico a copertura costituzionale.
Sebbene la legge non definisca la nozione di animale domestico, in mancanza di una precisazione normativa, ai fini dell’applicazione della nuova norma, per animale domestico va inteso l’animale che ragionevolmente e per consuetudine è tenuto in appartamento per ragioni affettive.
Sempre in tema di regolamento condominiale, l’art. 1102 c.c., che prevede che “ciascun partecipante può servirsi della cosa comune, purché non ne alteri la destinazione e non impedisca agli altri partecipanti di farne parimenti uso secondo il loro diritto”. Da ciò derivano due importanti conseguenze:
- Sussiste la facoltà di utilizzo delle parti comuni degli edifici condominiali da parte degli animali, che si concretizza principalmente nella facoltà di transito negli spazi comuni ma non di utilizzare questi beni come luoghi ove l’animale possa espletare i propri bisogni fisiologici:
- Il proprietario dell’animale deve curare che quest’ultimo non danneggi le parti comuni o non le renda inservibili agli altri condomini.
- Animali domestici e convivenza condominiale
In ambito condominiale, il diritto del singolo condomino di tenere con sé animali di affezione non è assoluto o illimitato, ma deve essere contemperato con il diritto alla salute e alle esigenze personali di vita connesse all’abitazione degli altri condomini. In ogni caso, quindi, il condomino è responsabile dei danni cagionati dall’animale di sua proprietà sia che fosse sotto la sua custodia, sia che fosse smarrito o fuggito, sia ancora che lo avesse affidato a terze persone, salvo che provi il caso fortuito. La responsabilità incorre tutte le volte che il danno sia stato prodotto con diretto nesso causale da un fatto proprio dell’animale, a prescindere dall’agire dell’uomo. Va poi considerato che l’uso degli spazi comuni di un edificio in condominio facendovi circolare il proprio cane senza le cautele richieste dall’ordinario criterio di prudenza può costituire una limitazione non consentita del pari diritto che gli altri condomini hanno sui medesimi spazi, se risulti che la mancata adozione delle suddette cautele impedisce loro di usare e godere liberamente degli spazi comuni.
Non tutti i comportamenti degli animali domestici, però, sono prevedibili ed evitabili (anche se ciò non toglie possibili conseguenze civili e penali per il possessore o detentore dell’animale): a tal proposito un valido esempio è rappresentato dai latrati del cane. Sul punto non v’è dubbio che il criterio della “normale tollerabilità” per verificare la liceità delle immissioni sia un criterio relativo, poiché esso non trova il suo punto di riferimento in dati aritmetici fissati dal legislatore, ma ha riguardato a tutte le caratteristiche del caso concreto. Di conseguenza la valutazione diretta a stabilire se le immissioni restino comprese o meno nei limiti della norma deve essere riferita, da un lato, alla sensibilità dell’uomo medio e, dall’altro, alla situazione locale. Quanto invece al reato previsto dall’art. 659 c.p., si è affermato il principio che per aversi disturbo delle occupazioni e del riposo delle persone, è necessario che i rumori, gli schiamazzi e le altre fonti sonore indicate nella norma superino la normale tollerabilità ed abbiano attitudine a disturbare un numero indeterminato di persone.
Non è raro, inoltre, che la mancata rimozione delle deiezioni canine e le condizioni igieniche dei cani dei condomini provochino esalazioni che superino la normale tollerabilità. Anche in questo caso, il condomino disturbato, sulla base dell’art. 844 c.c., può rivolgersi al giudice civile e richiedere la cessazione delle immissioni illecite ed il risarcimento danni.
- Limiti alla detenzione: le esigenze dell’animale
La rilevanza penale di una detenzione scorretta dell’animale comporta il dovere, a carico del proprietario, di conoscere e rispettare la sua fisiologia, di nutrirlo in modo adeguato, di sottoporlo a periodiche visite veterinarie e di mantenere pulito e salubre l’ambiente in cui il medesimo viva.
Tutto questo è praticabile a determinate condizioni e la detenzione di un numero eccessivo di animali potrebbe non essere una di queste. Ad oggi, non esiste una disciplina tale da imporre al proprietario un preciso numero di animali. Difatti, solo a seguito di contenzioso, in base alla fattispecie specifica del caso, siamo in grado di capire, in maniera approssimativa, un numero minimo e massimo di animali.
Ciò non toglie, però, che un eccessivo numero di animali comporta questioni di rilevanza non solo civile, ma anche di natura penale.
A tal proposito, ricordiamo che laddove i vicini di casa percepissero una situazione particolarmente grave, la loro segnalazione diventa fondamentale, per consentire l’intervento dei servizi veterinari e delle autorità per la tutela della salute pubblica. Essi possono anche decidere di rivolgersi all’amministratore del condominio, al quale spetterà una verifica sommaria della situazione e la segnalazione alla pubblica autorità.
- Il fenomeno delle colonie feline e del randagismo in generale
Quando si parla di gatti randagi ci si riferisce spesso alle cosiddette colonie feline (in realtà, per formare una colonia felina bastano anche solo due gatti che vivono in un determinato e circoscritto territorio). La permanenza dei gatti nelle aree condominiali, siano esse cortili, garage o giardini, aree ospedaliere è da considerare assolutamente legittima, alla stregua della presenza degli uccelli sugli alberi; d’altro canto, al fine di escludere ogni sorta di disturbo per i condomini, la legge prevede che il loro numero sia tenuto sotto controllo attraverso la sterilizzazione e che gli animali siano nutriti nel rispetto dell’igiene dei luoghi.
Chiunque si prenda cura dei detti animali, dovrà porre in essere tutti gli accorgimenti utili ad una rispettosa, salubre e pacifica convivenza, ovvero: utilizzare spazi appartati per il collocamento delle ciotole di acqua (che non devono mai essere rimosse) e di cibo (lavando il materiale e rimuovendo tempestivamente gli avanzi), tenere i medesimi spazi sempre puliti.
Attualmente, inoltre, l’allontanamento di detti animali deve essere motivato da ragioni particolarmente gravi come la sicurezza della salute pubblica, nel qual caso la delibera assembleare è legittima, purché sia preceduta da accertamenti da parte del servizio veterinario locale, che comprovino l’incompatibilità della permanenza dei gatti in condominio con le esigenze di salute e igiene pubblica.
Il comportamento arbitrario dei condomini (coloro che indebitamente rimuovano le ciotole dell’acqua, impediscano l’alimentazione, spaventino i gatti con atti mirati all’allontanamento o disturbo di essi, compiono un atto di maltrattamento nei confronti degli animali appartenenti alla colonia felina), potrebbe configurare il reato di maltrattamento di animali.
Per quanto concerne, invece, il fenomeno del randagismo nella sua concezione generale, un primo aspetto da sottolineare riguarda la responsabilità per fatti compiuti dagli animali e, in merito, la Corte di Cassazione ha ritenuto che colui che dà da mangiare a un randagio, anche se in maniera occasionale, ne diventa responsabile ed è tenuto a pagare i danni se l’animale morde un passante in quanto l’insorgere della posizione di garanzia relativa alla custodia di un animale prescinde dalla nozione di appartenenza e sorge ogni qualvolta sussista una relazione anche di semplice detenzione tra l’animale e una data persona.
- Il problema dei volatili
Iniziando il discorso dall’inquadramento normativo, a parere della Corte di Cassazione, la quale, atteso che, secondo l’articolo 2 della legge 157/92, fanno parte della fauna selvatica oggetto di tutela le specie di mammiferi e uccelli con popolazioni in stato di libertà naturale nel territorio nazionale, stabilisce che anche il “piccione di città” va assimilato agli animali selvatici. Pertanto, applicando tale principio, le possibilità di controllo ordinario per le popolazioni di animali selvatici che arrecano danni, anche nell’ambito urbano, si inseriscono all’articolo 19 della legge 157/92, con compiti attribuiti alle regioni e per delega alle province (e ai comuni).
A fronte delle numerose ordinanze comunali emesse sul territorio nazionale, ci limitiamo qui a citarne, in pillole, un paio, in quanto a noi geograficamente più vicine: nell’ordinanza emessa dal Comune di Carrara, una parte del provvedimento è indirizzata a proprietari o amministratori dei posti in cui gli avversati volatili stazionano o peggio ancora hanno fatto il nido. Ad essi spetterà rimuovere gli eventuali escrementi su terrazzi, soffitte e cornicioni, facendo seguire l’intervento da un’accurata pulizia e disinfestazione delle superfici interessate; inoltre bisognerà installare dispositivi meccanici che impediscano ai piccioni di avvicinarsi per nidificare.
Il secondo caso riguarda il Comune di Fiesole, nel quale Il Sindaco, preso atto delle segnalazioni pervenute dai cittadini riguardanti gli eventuali inconvenienti igienici a causa della presenza di piccioni in ambito urbano e dato atto, in particolare, che l’eventuale eccessivo numero di popolazione aviaria può creare inconvenienti igienici, sia per le maleodoranze del guano prodotto, sia per il potenziale sviluppo di germi patogeni derivanti dall’accumulo di guano medesimo, ha vietato a chiunque di fornire alimenti ai colombi o piccioni e, in generale, a tutta la popolazione aviaria, con conseguente espresso divieto di gettare al suolo mangime, scarti, avanzi alimentari in tutti i centri abitati del Comune di Fiesole. La pena per chi non rispetta tale disposizione sarà quella della sanzione amministrativa.
Occorre precisare, però, a conclusione di questa parte, che le ordinanze amministrative vanno rispettate solo se si è sul suolo pubblico. Sul proprio balcone di casa ciascuno resta libero di fare ciò che vuole; salvo che il regolamento di condominio contenga specifici divieti motivati (in mancanza dei quali può essere chiesta la convocazione di un’assemblea per il loro inserimento).
- L’adozione di possibili soluzioni nel peculiare contesto condominiale
Per quanto riguarda le soluzioni adottabili, queste sono molte e diverse (una su tutte quella dei c.d. dissuasori) ma, nello specifico contesto condominiale, è necessario che queste non vadano ad alterare il decoro architettonico dell’edificio.
Sicuramente una soluzione non può essere quella della distruzione di nidi e uova in quanto, dal 2010, è stato introdotto in Italia il divieto di «distruggere o danneggiare deliberatamente nidi e uova».
Fatta questa (forse inutile ma) doverosa precisazione, la necessità o l’opportunità di adottare sistemi che impediscano o limitino la presenza di piccioni, a tutela della salubrità di alcune unità immobiliari, e il relativo criterio di riparto della spesa dipende dal tipo di intervento prospettato.
- Il possesso di animali “atipici” e animali pericolosi
La legge 150/1992 vieta il commercio e la detenzione di “esemplari vivi di mammiferi e rettili che possono costituire pericolo per la salute e l’incolumità pubblica”. In altre parole, contiene il divieto di detenere animali pericolosi.
Per quanto concerne gli animali c.d. esotici (quindi non autoctoni) e quelli “non convenzionali” (ma comunque autoctoni) è possibile tenerne in casa determinate specie nel rispetto delle regole e delle raccomandazioni del Corpo Forestale dello Stato. A titolo puramente esemplificativo, quindi, potremmo dire che: mentre è illegale la detenzione di animali come la scimmia cappuccina, si possono adottare rettili come l’iguana, il pitone e la tartaruga o anche uccelli come i pappagalli ara per i quali però è necessario richiedere l’autorizzazione al possesso.
- Il problema dei ratti, possibili rimedi e relative attribuzioni
I topi sono responsabili della trasmissione di una serie di malattie molto pericolose per l’uomo come la salmonellosi, la leptospirosi, il colera e, attraverso i parassiti che si annidano nel loro manto come pulci e zecche, possono trasmettere la peste, la rickettsiosi e il tifo murino.
Essi sono responsabili anche di ingenti danni economici dal momento che attaccano le derrate alimentari contaminandole, rodono i cavi elettrici e del gas col rischio di provocare un corto circuito o una fuga di gas, rosicchiano tubi di scarico degli elettrodomestici e di ogni altro materiale con cui vengono a contatto, per cui è molto importante svolgere un’attenta azione preventiva in tutta l’area condominiale per scongiurare un’invasione di topi.
In diversi comuni italiani, la derattizzazione nei condomini privati è obbligatoria e, pertanto è dovere dell’amministratore condominiale provvedere affinché l’immobile sia in regola con le norme previste e non incorra in eventuali sanzioni. In particolare, l’amministratore condominiale è tenuto a riunire i condomini in assemblea e comunicare i preventivi di spesa da affrontare, in base alla decisione comune incaricherà la ditta prescelta. A conclusione dei lavori, deve farsi rilasciare il relativo attestato.
In caso di emergenza, l’amministratore può intervenire direttamente senza consultare l’assemblea dei condomini e in assenza di preventivo, tuttavia è obbligato a comunicare loro in anticipo la data in cui avrà luogo la disinfestazione, dal momento che saranno usate sostanze tossiche per le persone e per gli animali domestici che vivono nel condominio; infatti, sono interessate dalla derattizzazione tutte le parti comuni dell’edificio, sia gli spazi interni come scale, cantine, solai, sottotetti, che le aree esterne come giardini, parcheggi, terrazze.
A titolo preventivo, l’amministratore deve quindi vigilare che nell’immobile da lui amministrato sia mantenuta la pulizia in ogni ambiente, e in modo particolare, che siano osservate le regole di smaltimento dei rifiuti organici, da cui i topi sono immediatamente attratti. È importante poi che, al primo sospetto della presenza di topi, quali ad esempio il ritrovamento di escrementi, di materiali rosicchiati, rumori notturni, l’amministratore provveda ad attuare tutte le misure per garantire la salute dei condomini.
In quanto annoverati tra i contratti conclusi dall’amministratore nell’esercizio delle sue funzioni ed inerenti alla manutenzione ordinaria dell’edificio ed ai servizi comuni essenziali, ovvero all’uso normale delle cose comuni, sono vincolanti per tutti i condomini nel senso che giustificano l’obbligo per i predetti di contribuire alle spese, senza necessità di alcuna preventiva approvazione assembleare, potendo la detta intervenire utilmente in sede di consuntivo.
Infine, ricordiamo che per garantire una sicura efficacia della derattizzazione in un condominio sono consigliabili interventi ripetuti: se l’immobile è di normale dimensione sono sufficienti quattro interventi da espletare nell’arco di due mesi; l’assemblea dei condomini può optare per una derattizzazione annuale, con sopralluoghi mensili, con spese da ripartire, in ogni caso, tra tutti condomini in base alla tabella millesimale. Di norma le spese per la derattizzazione sono a carico del conduttore e non del proprietario dell’immobile, salvo diversi accordi contrattuali.
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