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“La verifica dell’impianto di messa a terra”

Prima di tutto un semplice ma un grande grazie a te cara lettrice e caro lettore, per il tempo che vorrai dedicarci.

In questa lettura, senza presunzione, di volere essere un momento di didattica tecnica, sugli impianti elettrici, vogliamo solamente con una chiacchierata, riportare un argomento, che ha pieni titoli è diventato indispensabile, nei gesti quotidiani della nostra vita.

Voglio parlarvi di IMPIANTI ELETTRICI, o per meglio dire, tutto quanto compete in termini di fruibilità, ma anche di rischio, nello sfruttare questa risorsa tecnologica.

Nello storico, ricordiamo che l’elettrificazione del Paese Italia è iniziata nel lontano 1893.

Ovviamente gli sfruttamenti dell’energia elettrica, erano relegati a pochissime situazioni, e magari solo il fatto del vedere accesa una lampadina, suscitava meraviglia ed anche diciamolo tranquillamente: diffidenza.

Si improvvisava a riguardo, del come questa corrente elettrica, doveva essere gestita, e la figura professionale dell’elettricista, era ben lontana da quanto questo viene richiesto ed è auspicabile nei nostri tempi moderni.

Ma ora mai, una nuova era tecnologica aveva messo le ali, e da allora ai giorni nostri, una buona parte, di quello che è a corredo delle nostre esigenze e abitudini, non puo’ fare a meno della corrente.

Di pari passo, prendendo considerazione dell’utilità di questo, invece non è andata presa in considerazione, con la stessa attenzione, quelli che invece sono i rischi che questo comporta.

Oggi giorno, abbiamo ogni luogo, dalle nostre abitazioni, ai luoghi di lavoro, una sorta di rischio subdolo, che non si lascia vedere, ma che all’occorrenza si fa sentire, con i suoi nefasti effetti direttamente sulla incolumità delle persone, se non con gli effetti collaterali, che spesso arrivano a generare incendi, di piccola o grande entità.

LEGGE O NORMA?

Per una informazione storica, dobbiamo ammettere che noi italiani siamo bravi, in quanto il Legislatore, a riguardo nello specifico, dei luoghi di lavoro, già nel lontano 1955, ha emanato una bellissima legge il DPR 547, che era se applicato, molto pertinente alla salvaguardia da rischio elettrico, nei luoghi di lavoro; anche se purtroppo, come spesso accade, pochissimo applicato, e soprattutto fatto rispettare.

A riguardo invece delle utenze civili, si navigava ancora a vista, senza che vi fosse un controllo giuridico, sul rispetto delle NORME, che disciplinano la regola dell’arte, e che mettono nella condizione di non fare disastri e male alle persone.

Avevamo sul mercato del lavoro, bravi elettricisti, ma anche tanti “stregoni della scossa”, o luciai.

Tutti potevano fare tutto, senza che vi fosse una tracciabilità sulle responsabilità giuridiche, in caso di infortunio, o danni accessori alle cose vedi un incendio causato da cause elettriche.

Il legislatore, sentendo la spinta dei Comitati tecnici, ma anche da una sensibilità, che stava crescendo nella coscienza tecnica, pose fine a questa giungla di lavori, fatti in maniera provvisionale, ma anche con grandi margini di rischio, emanando la prima legge tecnica, che responsabilizzava per competenza tecnica e rispetto sull’applicazione delle NORME, dei soggetti ben precisi e identificabili giuridicamente, quindi responsabili di quello che andava realizzato.

Il 5 Marzo del 1990 nasce la Legge n.46 diventata la capostipite degli impianti Elettrici e termoidraulici.

Che vedeva figure nuove, quali i progettisti e gli installatori, direttamente responsabili su quanto doveva essere progettato e realizzato alla REGOLA DELL’ARTE.

Finalmente i nostri impianti elettrici e idraulici, venivano progettati e certificati sulla loro sicurezza e funzionalità, avendo una anagrafica con nome e cognome, di chi si sarebbe portato a casa oneri e onori, sui lavori realizzati.

Tutti gli impianti si sarebbero realizzati, per non fare fulminare o saltare per aria la gente, perchè un ordine professionale o una iscrizione professionale, depositata in camera di commercio, manteneva la tracciabilità delle responsabilità, su chi faceva impianti elettrici e termoidraulici.

MA CHI CONTROLLA?

Chi controlla che l’impianto elettrico ha l’interruttore differenziale, chiamato volgarmente “SALVA VITA”, e che questo sia idoneo e funzionante, alla tipologia di impianto dove è collocato, chi controlla quello che volgarmente viene chiamato l’IMPIANTO DI MESSA A TERRA ovvero l’insieme di tutti i dispositivi di protezione che garantisco la sicurezza delle persone?

Nei luoghi di lavoro, che vanno dalla grossa fabbrica, al condominio, sono disciplinati nel controllo periodico obbligatorio per legge, da un D.P.R che è un atto giuridico, emanato dal Presidente delle Repubblica: Il DPR 462/01 che impone proprio la VERIFICA DELL’IMPIANTO DI MESSA A TERRA.

In questa Legge, viene sancito l’obbligo di controllare la sicurezza elettrica, in tutti quei luoghi, dove sono presenti dei lavoratori o ad esso assimilati.

Senza fare del terrorismo, in quanto lo scopo dell’articolo non è questo, ma se non si ottemperare a questa legge il DPR 462/01, si puo’ andare incontro a pendenze di carattere amministrativo penale, ancora maggiormente accentuate, in caso di infortunio,

I soggetti individuati dal DPR 462/01 a svolgere queste verifiche, sono:

Le ASL,le Arpa regionali oppure Organismi privati autorizzati dal Ministero dello Sviluppo Economico come.

Nelle abitazioni civili, ancora esiste una grossa latitanza dei controlli e si confida nella buona sensibilità dei proprietari ed inquilini, che o per conoscenza personale, o affidandosi al bravo elettricista, periodicamente testano quantomeno il corretto funzionamento dei SALVA VITA, o che non si generino condizioni pericolose, nell’utilizzo di tutti gli elettrodomestici che abbiamo nelle nostre case.

Anche se purtroppo e troppo spesso, leggiamo sulla cronaca di incresciosi incidenti, che con un minimo di perizia, si sarebbe potuto evitare.

Nel dubbio, bravi professionisti con competenza, sapranno suggerire cosa fare, per provare a dormire sonni tranquilli.

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“Verande e gazebo”

  • Verande e decoro architettonico

Uno dei primi aspetti da considerare sempre in caso di modifiche alla struttura originaria e alla fisionomia degli edifici condominiali è il decoro architettonico dell’intero stabile.

Per “decoro architettonico”, la giurisprudenza intende “l’estetica data dall’insieme delle linee e delle strutture che connotano il fabbricato stesso e gli imprimono una determinata, armonica, fisionomia”. S’incorre in violazione di tale armonia ogniqualvolta si operi nel senso di modificare l’originario assetto del fabbricato, variando anche soltanto “singoli punti o elementi”, indipendentemente dalla valenza estetica o artistica dell’edificio. La valutazione del pregiudizio al decoro architettonico va effettuata comunque caso per caso, accertando se, in concreto, gli interventi edilizi posti in essere abbiano effettivamente apportato modifiche di rilievo in senso negativo al decoro e all’estetica dell’edificio.

Inoltre, ricordiamo che ogni condomino può trarre utilità dalla facciata comune, maggiore o più intensa rispetto a quella degli altri comproprietari (nel rispetto del decoro architettonico e) senza pregiudicare il pari uso che costoro ne possono fare e senza alterarne la destinazione economica tipica.

Per tutti i motivi (alcuni dei quali alquanto problematici) appena enunciati, il regolamento condominiale può prevedere alcuni limiti più stringenti, fino a vietare qualsiasi mutamento della facciata e dell’aspetto generale dell’edificio rispetto a quello originario.

Anche ove questi divieti assoluti non fossero previsti, resta il fatto che la compatibilità della veranda con il decoro architettonico deve essere necessariamente verificata, volta per volta, alla luce di una serie di parametri forniti in materia dalla giurisprudenza:

  • rispetti il decoro architettonico dell’edificio;
  • non arrechi pregiudizio agli altri condomini;
  • assicuri un pari uso del bene comune.

Da tutto questo discorso ne discende, quindi, un dato a cui prestare attenzione: l’alterazione del decoro architettonico dell’immobile condominiale può ben correlarsi alla realizzazione di opere che non mutano l’originario aspetto anche soltanto di singoli elementi o punti del fabbricato, tutte le volte che la modifica sia suscettibile di riflettersi sull’insieme dell’aspetto dello stabile – cosa che accade nell’ipotesi della realizzazione di una veranda che dia luogo a discordanze nel prospetto, e ne modifichi l’unità stilistica senza che occorra peraltro che si tratti di edifici di particolare pregio artistico.

A questo, infine, va aggiunto che l’estetica del fabbricato è data dall’insieme dei suoi elementi architettonici e strutturali e non dal contesto in cui lo stesso si colloca. I valori architettonici, pertanto, vengono impressi dal complesso delle linee e delle strutture ornamentali che costituiscono la nota dominante dell’edificio e non dall’impatto dell’ambiente circostante.

  • Autorizzazioni amministrative ed assembleari

In linea generale, ciascun condomino ha il diritto di trasformare in veranda il balcone di sua proprietà senza richiedere alcuna autorizzazione, salvo che ciò sia espressamente richiesto dal regolamento di condominio accettato da tutti (regolamento contrattuale). I poteri dell’assemblea condominiale, infatti, riguardano la disciplina dell’uso delle cose comuni e non possono mai incidere sulla sfera delle proprietà individuali.

Il regolamento può invece prevedere che qualsiasi modificazione al fabbricato che comporti una alterazione del decoro architettonico o della facciata debba ottenere la preventiva autorizzazione da parte dell’assemblea. Queste disposizioni, quindi, astrattamente suscettibili di incidere anche sulla sfera del dominio personale esclusivo dei singoli partecipanti, in concreto lo sono soltanto nei limiti in cui ciò si riveli necessario in funzione della salvaguardia del bene comune.

Allo stesso modo, l’autorizzazione assembleare risulta necessaria qualora la realizzazione del manufatto possa arrecare pregiudizio ad alcuni condomini, o perché non vengano rispettate le distanze legali fra le due proprietà. In questa seconda ipotesi, è opportuno che l’autorizzazione venga formalizzata con atto notarile e successiva trascrizione presso la Conservatoria dei registri immobiliare.

Le limitazioni imposte, alla costruzione di opere di questo, come di altro tipo, non provengono soltanto dall’assemblea ma anche dalla pubblica amministrazione e, in particolare, dai vari Comuni: ognuno di essi può, nel proprio territorio di competenza, emanare un apposito regolamento per disciplinare le suddette attività. Pertanto, prima di procedere alla realizzazione del manufatto in analisi, risulta fondamentale prestare attenzione ai regolamenti comunali i quali, in alcune ipotesi, potrebbero addirittura contenere delle disposizioni meno restrittive rispetto alla disciplina nazionale.

  • Revisione delle tabelle millesimali

Questa operazione, ricordiamo, andrà posta in essere soltanto nell’ipotesi in cui la veranda realizzata mediante chiusura di un balcone o terrazza preesistente abbia effettivamente mutato le condizioni dell’immobile a cui afferisce, determinando un incremento di superfici o alterato il valore proporzionale della proprietà esclusiva per più di un quinto.

GAZEBO IN CONDOMINIO

  • Procedura corretta per l’installazione

Sia in caso di realizzazione di un gazebo sul proprio terrazzo, che nel giardino condominiale, è necessario dare una preventiva comunicazione, mezzo raccomandata, al proprio amministratore, in quanto la realizzazione di tale opera potrebbe modificare la destinazione d’uso di determinate parti comuni o alterare l’estetica complessiva dell’edificio condominiale.

Inoltre, l’installazione di questi manufatti non sempre è libera da vincoli o disposizioni di legge che potrebbero imporre, per opere di un determinato tipo (come alcuni gazebo), la presentazione di una SCIA o la richiesta di un PdC. Per una corretta identificazione del titolo abilitativo da richiedere per la costruzione del gazebo è necessario rilevare la dimensione e la funzione del medesimo. Secondo un principio generale, i gazebo sono di regola opere che non rappresentano costruzioni vere e proprie, ma hanno caratteristiche di precarietà strutturale e funzionale, destinate a soddisfare esigenze contingenti e circoscritte nel tempo, esenti dunque dall’assoggettamento a permesso di costruire. Invece, se sono funzionali a soddisfare esigenze permanenti, vanno considerati manufatti alteranti lo stato dei luoghi, con un sicuro incremento del carico urbanistico, a nulla rilevando la precarietà strutturale del manufatto, la rimovibilità della struttura e l’assenza di opere murarie, posto che il gazebo non precario non è deputato ad un suo uso per fini contingenti, ma è destinato ad un utilizzo per soddisfare esigenze durature nel tempo e rafforzate dal carattere permanente e non stagionale dell’attività svolta.

  • L’ipotesi del gazebo sul lastrico solare

Avviene piuttosto di frequente che il lastrico solare anziché essere di proprietà comune di tutti i condomini, appartiene soltanto ad alcuni (o ad uno) dei condomini.

L’esistenza della proprietà esclusiva dà vita ad una particolare situazione di concorrenza di diritti: quello di copertura dell’edificio, a vantaggio del proprietario esclusivo, o di chi ne ha l’uso esclusivo. Possiamo individuare i limiti al godimento del lastrico, da parte del proprietario esclusivo:

  • le modificazioni o gli atti di godimento del lastrico solare non devono essere operati a scopo emulativo
  • tutte le opere poste in essere dal singolo condomino non devono essere contrarie alle norme previste dal regolamento condominiale;
  • il proprietario esclusivo non può, nell’esercizio del proprio diritto, arrecare comunque pregiudizio alla funzione di copertura cui la terrazza, o il lastrico solare, naturalmente assolve;
  • Il proprietario esclusivo del lastrico solare non può compiere alcun atto di godimento, o di modificazione del suo bene, se ciò comporta un danno al decoro dell’edificio, poiché, evidentemente, ne deriverebbe una diminuzione patrimoniale del valore dell’intero edificio e, quindi, una violazione dei diritti degli altri condomini.

Infine, proprio in riferimento a quest’ultimo limite, la Cassazione ha stabilito che non è consentito costruire (e, nel caso sia già stato costruito, va rimosso) un gazebo fatto con materiali che contrastano con quelli usati per il terrazzo condominiale, anche se l’edificio non ha pregi architettonici e la costruzione del manufatto è stata eseguita sulla parte del lastrico solare di cui il proprietario dell’appartamento dell’ultimo piano ha l’uso esclusivo. A tale proposito, infatti, il giudice deve valutare anche se l’opera permette la salvaguarda della fisionomia unitaria dell’edificio.

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Contatti

“Il consiglio di condominio”

Una delle novità della riforma del condominio del 2013 prevede che l’assemblea può anche nominare un consiglio di condominio, che deve essere composto da almeno tre condomini egli edifici in cui vi siano almeno 12 unità immobiliari.

La sua nomina è ammessa solo in presenza di una previsione in tal senso contenuta nel regolamento o di una apposita delibera dell’assemblea.

Per quanto concerne l’incarico, la nomina dei consiglieri rientra nei poteri discrezionali dalla maggioranza dell’assemblea e l’incarico è gratuito

Le funzioni del consiglio sono consultive e di controllo e la sua attività non si può sempre (ed automaticamente) estendere a questioni ulteriori.

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“Debito condominiale pregresso”

“Quali normative regolano il debito condominiale pregresso?”

Se c’è un debito consolidato ed inesigibile per cui chi compra un immobile ha pagato anno in corso e il precedente in base all’art.63., il credito inesigibile degli anni precedenti a quello in corso e a quello precedente già assolti, da chi deve essere pagato?
L’art.63 delle disp. att. al codice civile, con riferimento alla fattispecie in questione, dispone che:
chi subentra nei diritti di un condomino è obbligato solidalmente con questo al pagamento dei contributi relativi all’anno in corso e a quello precedente.
Orbene, il principio normativo in questione non potrebbe essere modificato da un eventuale regolamento di condominio in quanto l’art.72 delle disp. att. al codice civile dispone che:
i regolamenti di condominio non possono derogare alle disposizioni dei precedenti articoli 63,66,67 e 69 delle disp. att. del codice civile.La Giurisprudenza di legittimità, con la sentenza N°10346/2019, ha stabilito che:
in tema di condominio negli edifici, la responsabilità solidale dell’acquirente di una porzione esclusiva per il pagamento dei contributi dovuti al condominio dal condomino venditore è limitato al biennio precedente all’acquisto, trovando applicazione l’art.63 secondo comma, disp. att. e non già l’art.1104 c.c. atteso che, ai sensi dell’art.1139 c.c., le norme sulla comunione in generale si estendono al condominio soltanto in mancanza di apposita disciplina. (Cass 27/02/2012 n°.2979).Pertanto, il credito inesigibile degli anni precedenti a quello in corso e a quello precedente già assolti deve essere pagato attraverso il principio di solidarietà da tutti i condomini in base alla tabella di proprietà.

Fonte – Centro studi ANAPI

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“Lastrico solare”

Lastrico solare

Il lastrico solare è quel manufatto che funge da copertura dell’edificio, caratterizzato da una superficie impermeabilizzata e pavimento piano.

Questo può appartenere a tutti i condomini, soltanto ad una parte di essi, oppure anche a chi non detiene alcuna proprietà nel condominio (in quest’ultimo caso il soggetto proprietario va considerato un condomino a tutti gli effetti laddove la proprietà del lastrico sia legata al diritto di sopraelevazione).

Per quanto riguarda la ripartizione delle spese, questa va ripartita per 1/3 a carico del condominio che ne abbia l’uso esclusivo e per i 2/3 a carico dei singoli condomini proprietari dei piani o delle porzioni di piano sottostanti.

Il lastrico solare sprovvisto di parapetti è inutilizzabile e, nel caso in cui questo serva da copertura a tutte le proprietà esclusive, le spese andranno suddivise tra tutti i condomini in proporzione ai millesimi di proprietà. Al contrario, nel caso in cui il lastrico copra solo una parte dello stabile, le spese andranno ripartite soltanto tra i condomini che usufruiscono di tale copertura. Infine, qualora il lastrico sopra sia proprietà esclusive che parti comuni, la ripartizione delle spese dovrà tenere conto dell’incidenza della spesa attinente alla parte condivisa in relazione al costo totale della riparazione.

Qualora il lastrico sia accessibile e fruibile e copra soltanto una parte dell’edificio e sia utilizzato dai soli condomini sottostanti, la spesa è ripartita per intero soltanto tra i condomini fruitori. Può succedere anche che il lastrico sia utilizzato da condomini le cui proprietà non sono coperte dal lastrico: in questo caso tutti coloro che usufruiscono del lastrico pagano 1/3 della spesa in proporzione ai rispettivi millesimi e i restanti 2/3 sono pagati dai condomini le cui proprietà sono coperte dal lastrico.

Questo criterio è derogabile ma a tal fine sarà necessaria una delibera assembleare assunta con il voto unanime dei condomini intervenuti.

In caso di danneggiamenti (es. infiltrazioni) ed in assenza di prove certe, il costo della riparazione va invece suddiviso tra il proprietario, che paga 1/3 della spesa, ed il resto del condominio che paga i restanti 2/3.

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