Ad oggi, quella dei parcheggi in condominio è una delle (tante) tematiche ancora in via di sviluppo e, come tale, foriera spesso di incomprensioni e diatribe, soprattutto tra chi il condominio lo vive.
Volendo partire subito da un enunciato giuridico, dopo la riforma del 2012, le aree destinate a parcheggio rientrano tra le possibili parti comuni di un edificio, con la conseguenza che a queste si dovrà applicare il principio fondamentale (per la vita condominiale) della parità d’uso nell’utilizzo, appunto, di cose comuni.
Andando oltre questa direttrice di fondo ed entrando un po’ più nel concreto, un fattore dirimente importante risiede nella presenza o meno di un regolamento o di delibere assembleari che vadano a determinare esplicitamente la creazione di aree comuni adibite a parcheggio (se del caso modificando la destinazione d’uso di altre aree) e poi, soprattutto, le modalità organizzative tramite cui usufruire dei parcheggi comuni.
Per quanto riguarda il primo aspetto, ossia quello della creazione di aree adibite a parcheggio, conviene sottolineare subito che questa può essere deliberata con la maggioranza degli intervenuti che rappresenti almeno la metà del valore dell’edificio, in quanto così è stabilito dal codice civile.
Per quanto riguarda, invece, l’ipotesi in cui per la creazione di un’area di parcheggio si vada a modificare la destinazione d’uso di un’area comune preesistente, la relativa delibera dovrà essere approvata con un numero di voti che rappresenti i quattro quinti dei partecipanti al condominio e i quattro quinti del valore dell’edificio. Tralasciando per un attimo il discorso sul quorum, comunque tutt’altro che pacifico in quanto apparentemente confliggente con l’eventuale natura di innovazione attribuibile a tali opere di trasformazione, non tutto è così semplice come si potrebbe pensare e, infatti, occorre sempre valutare nel caso concreto, basandosi anche sullo stato dei luoghi, se un’operazione in tal senso sia effettuabile nel rispetto dei principi regolatori della vita condominiale, stabiliti dalla legge.
Per quanto concerne, invece, il terzo aspetto, ossia quello delle modalità organizzative, soventi possono essere le ipotesi nelle quali lo spazio a disposizione non sia sufficiente a contenere contemporaneamente tutti i veicoli dei condomini e, per questo motivo, altrettanto soventemente, si prospetta come soluzione quella della turnazione, anch’essa però da attuarsi con regole e modalità ben precise e delegate totalmente alla discrezionalità assembleare (che può intervenire con singole delibere o con una modifica del regolamento). A tutela di questa soluzione, qualora vengano disattesi il regolamento o la delibera concernenti la turnazione, l’amministratore potrà inviare richiami formali e, se del caso, irrogare sanzioni ai trasgressori
Alienabilità del parcheggio quale pertinenza dell’immobile
Dopo varie normative che si sono succedute nel corso degli ultimi 40 – 50 anni, pare che attualmente la situazione si sia assestata e le disposizioni attualmente vigenti in materia (risalenti al 2012 – 2013) hanno stabilito che non sussiste (più) il vincolo di pertinenzialità tra parcheggio e immobile eventualmente contenuto nell’atto di acquisto e che, di conseguenza, i due beni sono vendibili separatamente, all’unica condizione che il parcheggio mantenga immutata la propria destinazione e che divenga pertinenza di un altro immobile situato nello stesso Comune.
Rapporti con la legislazione sulla sicurezza e antincendio
In contesti nei quali i posti auto insistono su garage o box, si pone per il condominio e, a cascata, sull’amministratore, l’(ulteriore) onere di rispettare, attraverso regolarizzazioni e continui aggiornamenti, quelli che sono i criteri stabiliti dalla normativa sulla sicurezza antincendio inerente sia alla struttura che alle attrezzature di sicurezza. Un eventuale colpa o inerzia dell’amministratore comportano la sua responsabilità sia amministrativa che, eventualmente, penale.
Alcune ipotesi e situazioni più specifiche
Nell’evenienza in cui si vogliano procedere installare dissuasori su una parte comune, una tale operazione sarà possibile solo successivamente ad un’apposita delibera da approvarsi con la maggioranza prevista per le operazioni di manutenzione ordinaria. Inoltre dovranno essere adottate varie cautele nell’installazione di detti elementi, affinché non rappresentino un intralcio o un pericolo per i condomini (torna sempre il principio del pari uso)
Nell’ipotesi in cui un condomino sia titolare esclusivo di un posto auto, non gli sarà comunque consentito parcheggiare un ulteriore veicolo nello spazio condominiale antistante quel posto, in quanto una tale situazione può essere autorizzata soltanto dall’assemblea e, anche in questo caso, l’area resta sempre a disposizione della collettività condominiale.
Per quanto concerne l’obbligo di riservare un posto auto alle persone disabili, la legislazione attualmente vigente stabilisce che “devono comunque essere previsti, nella misura di 1 ogni 50 o frazione di 50m posti auto di larghezza non inferiore a m 3,20 e riservati gratuitamente ai veicoli al servizio di persone disabili”. Questa normativa, però, risulta applicabile soltanto per edifici costruiti successivamente al 1989 (data della sua entrata in vigore) e, nei casi che ne restano fuori, una decisione in tal senso può essere assunta soltanto dall’assemblea, all’unanimità.
Il regolamento di condominio, può sancire il divieto di stendere i panni sui balconi. La clausola che dispone in tal senso, però, deve avere natura contrattuale, ossia deve essere accettata da tutti i condomini. Nel caso in cui questa clausola non vi sia (o vi sia ma non abbia valore giuridico), il problema si pone eccome, soprattutto in considerazione dello stillicidio che si può creare a danno delle abitazioni sottostanti. A fronte di una simile condotta, infatti, si può arrivare a prospettare una responsabilità in sede sia civile, sia penale, per il soggetto che ha steso i panni. Per quanto concerne l’ambito penale, si sottolinea comunque che, per integrare la fattispecie di reato, non può trattarsi di atteggiamento occasionale ma deve essere continuo o comunque reiterato. Sull’aspetto civile, invece, è stato affermato in giurisprudenza come l’attività materiale posta in essere debba avere, tra le altre cose, un congruo ed apprezzabile contenuto di disturbo. Di diverso avviso è risultata, invece, la giurisprudenza rispetto alla eventuale diminuzione del decorso architettonico dell’edificio, il quale è stato totalmente escluso. In particolare ha ritenuto che non si possa parlare di lesione del decoro perché lo stendere i panni costituisce attività saltuaria che non comporta alcuna modifica stabile alle linee architettoniche, vista anche la temporaneità e la facile rimovibilità dell’opera.
L’art. 1138 c.c., al comma 5, prevede espressamente che le norme del regolamento condominiale non possono vietare di possedere o detenere animali domestici. In proposito, inoltre, appare corretta la precisazione di autorevole dottrina secondo cui dopo le modifiche del legislatore del 2012, gli ultimi due capoversi dell’art. 1138 c.c., si dovrebbero leggere nel senso che tutti i regolamenti, anche quelli non assembleari, non possono menomare, non possono derogare, e comunque non possono vietare di possedere o detenere animali domestici in quanto il nostro ordinamento riconosce e tutela il rapporto uomo-animale quale interesse giuridico a copertura costituzionale.
Sebbene la legge non definisca la nozione di animale domestico, in mancanza di una precisazione normativa, ai fini dell’applicazione della nuova norma, per animale domestico va inteso l’animale che ragionevolmente e per consuetudine è tenuto in appartamento per ragioni affettive.
Sempre in tema di regolamento condominiale, l’art. 1102 c.c., che prevede che “ciascun partecipante può servirsi della cosa comune, purché non ne alteri la destinazione e non impedisca agli altri partecipanti di farne parimenti uso secondo il loro diritto”. Da ciò derivano due importanti conseguenze:
Sussiste la facoltà di utilizzo delle parti comuni degli edifici condominiali da parte degli animali, che si concretizza principalmente nella facoltà di transito negli spazi comuni ma non di utilizzare questi beni come luoghi ove l’animale possa espletare i propri bisogni fisiologici:
Il proprietario dell’animale deve curare che quest’ultimo non danneggi le parti comuni o non le renda inservibili agli altri condomini.
Animali domestici e convivenza condominiale
In ambito condominiale, il diritto del singolo condomino di tenere con sé animali di affezione non è assoluto o illimitato, ma deve essere contemperato con il diritto alla salute e alle esigenze personali di vita connesse all’abitazione degli altri condomini. In ogni caso, quindi, il condomino è responsabile dei danni cagionati dall’animale di sua proprietà sia che fosse sotto la sua custodia, sia che fosse smarrito o fuggito, sia ancora che lo avesse affidato a terze persone, salvo che provi il caso fortuito. La responsabilità incorre tutte le volte che il danno sia stato prodotto con diretto nesso causale da un fatto proprio dell’animale, a prescindere dall’agire dell’uomo. Va poi considerato che l’uso degli spazi comuni di un edificio in condominio facendovi circolare il proprio cane senza le cautele richieste dall’ordinario criterio di prudenza può costituire una limitazione non consentita del pari diritto che gli altri condomini hanno sui medesimi spazi, se risulti che la mancata adozione delle suddette cautele impedisce loro di usare e godere liberamente degli spazi comuni.
Non tutti i comportamenti degli animali domestici, però, sono prevedibili ed evitabili (anche se ciò non toglie possibili conseguenze civili e penali per il possessore o detentore dell’animale): a tal proposito un valido esempio è rappresentato dai latrati del cane. Sul punto non v’è dubbio che il criterio della “normale tollerabilità” per verificare la liceità delle immissioni sia un criterio relativo, poiché esso non trova il suo punto di riferimento in dati aritmetici fissati dal legislatore, ma ha riguardato a tutte le caratteristiche del caso concreto. Di conseguenza la valutazione diretta a stabilire se le immissioni restino comprese o meno nei limiti della norma deve essere riferita, da un lato, alla sensibilità dell’uomo medio e, dall’altro, alla situazione locale. Quanto invece al reato previsto dall’art. 659 c.p., si è affermato il principio che per aversi disturbo delle occupazioni e del riposo delle persone, è necessario che i rumori, gli schiamazzi e le altre fonti sonore indicate nella norma superino la normale tollerabilità ed abbiano attitudine a disturbare un numero indeterminato di persone.
Non è raro, inoltre, che la mancata rimozione delle deiezioni canine e le condizioni igieniche dei cani dei condomini provochino esalazioni che superino la normale tollerabilità. Anche in questo caso, il condomino disturbato, sulla base dell’art. 844 c.c., può rivolgersi al giudice civile e richiedere la cessazione delle immissioni illecite ed il risarcimento danni.
Limiti alla detenzione: le esigenze dell’animale
La rilevanza penale di una detenzione scorretta dell’animale comporta il dovere, a carico del proprietario, di conoscere e rispettare la sua fisiologia, di nutrirlo in modo adeguato, di sottoporlo a periodiche visite veterinarie e di mantenere pulito e salubre l’ambiente in cui il medesimo viva.
Tutto questo è praticabile a determinate condizioni e la detenzione di un numero eccessivo di animali potrebbe non essere una di queste. Ad oggi, non esiste una disciplina tale da imporre al proprietario un preciso numero di animali. Difatti, solo a seguito di contenzioso, in base alla fattispecie specifica del caso, siamo in grado di capire, in maniera approssimativa, un numero minimo e massimo di animali.
Ciò non toglie, però, che un eccessivo numero di animali comporta questioni di rilevanza non solo civile, ma anche di natura penale.
A tal proposito, ricordiamo che laddove i vicini di casa percepissero una situazione particolarmente grave, la loro segnalazione diventa fondamentale, per consentire l’intervento dei servizi veterinari e delle autorità per la tutela della salute pubblica. Essi possono anche decidere di rivolgersi all’amministratore del condominio, al quale spetterà una verifica sommaria della situazione e la segnalazione alla pubblica autorità.
Il fenomeno delle colonie feline e del randagismo in generale
Quando si parla di gatti randagi ci si riferisce spesso alle cosiddette colonie feline (in realtà, per formare una colonia felina bastano anche solo due gatti che vivono in un determinato e circoscritto territorio). La permanenza dei gatti nelle aree condominiali, siano esse cortili, garage o giardini, aree ospedaliere è da considerare assolutamente legittima, alla stregua della presenza degli uccelli sugli alberi; d’altro canto, al fine di escludere ogni sorta di disturbo per i condomini, la legge prevede che il loro numero sia tenuto sotto controllo attraverso la sterilizzazione e che gli animali siano nutriti nel rispetto dell’igiene dei luoghi.
Chiunque si prenda cura dei detti animali, dovrà porre in essere tutti gli accorgimenti utili ad una rispettosa, salubre e pacifica convivenza, ovvero: utilizzare spazi appartati per il collocamento delle ciotole di acqua (che non devono mai essere rimosse) e di cibo (lavando il materiale e rimuovendo tempestivamente gli avanzi), tenere i medesimi spazi sempre puliti.
Attualmente, inoltre, l’allontanamento di detti animali deve essere motivato da ragioni particolarmente gravi come la sicurezza della salute pubblica, nel qual caso la delibera assembleare è legittima, purché sia preceduta da accertamenti da parte del servizio veterinario locale, che comprovino l’incompatibilità della permanenza dei gatti in condominio con le esigenze di salute e igiene pubblica.
Il comportamento arbitrario dei condomini (coloro che indebitamente rimuovano le ciotole dell’acqua, impediscano l’alimentazione, spaventino i gatti con atti mirati all’allontanamento o disturbo di essi, compiono un atto di maltrattamento nei confronti degli animali appartenenti alla colonia felina), potrebbe configurare il reato di maltrattamento di animali.
Per quanto concerne, invece, il fenomeno del randagismo nella sua concezione generale, un primo aspetto da sottolineare riguarda la responsabilità per fatti compiuti dagli animali e, in merito, la Corte di Cassazione ha ritenuto che colui che dà da mangiare a un randagio, anche se in maniera occasionale, ne diventa responsabile ed è tenuto a pagare i danni se l’animale morde un passante in quanto l’insorgere della posizione di garanzia relativa alla custodia di un animale prescinde dalla nozione di appartenenza e sorge ogni qualvolta sussista una relazione anche di semplice detenzione tra l’animale e una data persona.
Il problema dei volatili
Iniziando il discorso dall’inquadramento normativo, a parere della Corte di Cassazione, la quale, atteso che, secondo l’articolo 2 della legge 157/92, fanno parte della fauna selvatica oggetto di tutela le specie di mammiferi e uccelli con popolazioni in stato di libertà naturale nel territorio nazionale, stabilisce che anche il “piccione di città” va assimilato agli animali selvatici. Pertanto, applicando tale principio, le possibilità di controllo ordinario per le popolazioni di animali selvatici che arrecano danni, anche nell’ambito urbano, si inseriscono all’articolo 19 della legge 157/92, con compiti attribuiti alle regioni e per delega alle province (e ai comuni).
A fronte delle numerose ordinanze comunali emesse sul territorio nazionale, ci limitiamo qui a citarne, in pillole, un paio, in quanto a noi geograficamente più vicine: nell’ordinanza emessa dal Comune di Carrara, una parte del provvedimento è indirizzata a proprietari o amministratori dei posti in cui gli avversati volatili stazionano o peggio ancora hanno fatto il nido. Ad essi spetterà rimuovere gli eventuali escrementi su terrazzi, soffitte e cornicioni, facendo seguire l’intervento da un’accurata pulizia e disinfestazione delle superfici interessate; inoltre bisognerà installare dispositivi meccanici che impediscano ai piccioni di avvicinarsi per nidificare.
Il secondo caso riguarda il Comune di Fiesole, nel quale Il Sindaco, preso atto delle segnalazioni pervenute dai cittadini riguardanti gli eventuali inconvenienti igienici a causa della presenza di piccioni in ambito urbano e dato atto, in particolare, che l’eventuale eccessivo numero di popolazione aviaria può creare inconvenienti igienici, sia per le maleodoranze del guano prodotto, sia per il potenziale sviluppo di germi patogeni derivanti dall’accumulo di guano medesimo, ha vietato a chiunque di fornire alimenti ai colombi o piccioni e, in generale, a tutta la popolazione aviaria, con conseguente espresso divieto di gettare al suolo mangime, scarti, avanzi alimentari in tutti i centri abitati del Comune di Fiesole. La pena per chi non rispetta tale disposizione sarà quella della sanzione amministrativa.
Occorre precisare, però, a conclusione di questa parte, che le ordinanze amministrative vanno rispettate solo se si è sul suolo pubblico. Sul proprio balcone di casa ciascuno resta libero di fare ciò che vuole; salvo che il regolamento di condominio contenga specifici divieti motivati (in mancanza dei quali può essere chiesta la convocazione di un’assemblea per il loro inserimento).
L’adozione di possibili soluzioni nel peculiare contesto condominiale
Per quanto riguarda le soluzioni adottabili, queste sono molte e diverse (una su tutte quella dei c.d. dissuasori) ma, nello specifico contesto condominiale, è necessario che queste non vadano ad alterare il decoro architettonico dell’edificio.
Sicuramente una soluzione non può essere quella della distruzione di nidi e uova in quanto, dal 2010, è stato introdotto in Italia il divieto di «distruggere o danneggiare deliberatamente nidi e uova».
Fatta questa (forse inutile ma) doverosa precisazione, la necessità o l’opportunità di adottare sistemi che impediscano o limitino la presenza di piccioni, a tutela della salubrità di alcune unità immobiliari, e il relativo criterio di riparto della spesa dipende dal tipo di intervento prospettato.
Il possesso di animali “atipici” e animali pericolosi
La legge 150/1992 vieta il commercio e la detenzione di “esemplari vivi di mammiferi e rettili che possono costituire pericolo per la salute e l’incolumità pubblica”. In altre parole, contiene il divieto di detenere animali pericolosi.
Per quanto concerne gli animali c.d. esotici (quindi non autoctoni) e quelli “non convenzionali” (ma comunque autoctoni) è possibile tenerne in casa determinate specie nel rispetto delle regole e delle raccomandazioni del Corpo Forestale dello Stato. A titolo puramente esemplificativo, quindi, potremmo dire che: mentre è illegale la detenzione di animali come la scimmia cappuccina, si possono adottare rettili come l’iguana, il pitone e la tartaruga o anche uccelli come i pappagalli ara per i quali però è necessario richiedere l’autorizzazione al possesso.
Il problema dei ratti, possibili rimedi e relative attribuzioni
I topi sono responsabili della trasmissione di una serie di malattie molto pericolose per l’uomo come la salmonellosi, la leptospirosi, il colera e, attraverso i parassiti che si annidano nel loro manto come pulci e zecche, possono trasmettere la peste, la rickettsiosi e il tifo murino.
Essi sono responsabili anche di ingenti danni economici dal momento che attaccano le derrate alimentari contaminandole, rodono i cavi elettrici e del gas col rischio di provocare un corto circuito o una fuga di gas, rosicchiano tubi di scarico degli elettrodomestici e di ogni altro materiale con cui vengono a contatto, per cui è molto importante svolgere un’attenta azione preventiva in tutta l’area condominiale per scongiurare un’invasione di topi.
In diversi comuni italiani, la derattizzazione nei condomini privati è obbligatoria e, pertanto è dovere dell’amministratore condominiale provvedere affinché l’immobile sia in regola con le norme previste e non incorra in eventuali sanzioni. In particolare, l’amministratore condominiale è tenuto a riunire i condomini in assemblea e comunicare i preventivi di spesa da affrontare, in base alla decisione comune incaricherà la ditta prescelta. A conclusione dei lavori, deve farsi rilasciare il relativo attestato.
In caso di emergenza, l’amministratore può intervenire direttamente senza consultare l’assemblea dei condomini e in assenza di preventivo, tuttavia è obbligato a comunicare loro in anticipo la data in cui avrà luogo la disinfestazione, dal momento che saranno usate sostanze tossiche per le persone e per gli animali domestici che vivono nel condominio; infatti, sono interessate dalla derattizzazione tutte le parti comuni dell’edificio, sia gli spazi interni come scale, cantine, solai, sottotetti, che le aree esterne come giardini, parcheggi, terrazze.
A titolo preventivo, l’amministratore deve quindi vigilare che nell’immobile da lui amministrato sia mantenuta la pulizia in ogni ambiente, e in modo particolare, che siano osservate le regole di smaltimento dei rifiuti organici, da cui i topi sono immediatamente attratti. È importante poi che, al primo sospetto della presenza di topi, quali ad esempio il ritrovamento di escrementi, di materiali rosicchiati, rumori notturni, l’amministratore provveda ad attuare tutte le misureper garantire la salute dei condomini.
In quanto annoverati tra i contratti conclusi dall’amministratore nell’esercizio delle sue funzioni ed inerenti alla manutenzione ordinaria dell’edificio ed ai servizi comuni essenziali, ovvero all’uso normale delle cose comuni, sono vincolanti per tutti i condomini nel senso che giustificano l’obbligo per i predetti di contribuire alle spese, senza necessità di alcuna preventiva approvazione assembleare, potendo la detta intervenire utilmente in sede di consuntivo.
Infine, ricordiamo che per garantire una sicura efficacia della derattizzazione in un condominio sono consigliabili interventi ripetuti: se l’immobile è di normale dimensione sono sufficienti quattro interventi da espletare nell’arco di due mesi; l’assemblea dei condomini può optare per una derattizzazione annuale, con sopralluoghi mensili, con spese da ripartire, in ogni caso, tra tutti condomini in base alla tabella millesimale. Di norma le spese per la derattizzazione sono a carico del conduttore e non del proprietario dell’immobile, salvo diversi accordi contrattuali.
⭕️Conosci la differenza tra regolamento condominiale e regolamento contrattuale?⭕️
Il regolamento condominiale può essere frutto di due diverse espressioni di volontà: una di queste dall’ assemblea condominiale alla quale è affidato il compito di approvare il suddetto regolamento. L’altra, invece, dalla (sola) volontà del costruttore dell’immobile o del proprietario originario di questo.
Questa seconda ipotesi offre ampi spazi di discrezionalità nella redazione del regolamento e, in particolare, nella statuizione di determinati divieti che vanno a gravare sui beni in proprietà esclusiva.
Uno di questi riguarda la immodificabilità della destinazione d’uso degli immobili in proprietà esclusiva o, più in generale, una limitazione del diritto d’uso degli stessi.
L’importante è che i vincoli risultino in modo chiaro e non equivoco sia nel regolamento che nei singoli atti d’acquisto.
Il divieto di adibire l’unità immobiliare ad usi diversi da quello abitativo, peraltro, non può ritenersi decisivo ai fini dell’emissione di un provvedimento urgente di interruzione dell’attività contestata ma occorre provare che dall’ inosservanza del regolamento condominiale consegua un pericolo imminente per la comunità condominiale.
Infine, in materia di interpretazione delle clausole di regolamenti di condominio che pongono limitazioni ai diritti e alle facoltà spettanti ai singoli condomini sulle parti di edificio di loro esclusiva proprietà si sostiene che dette clausole possano essere interpretate storicamente, tenendo conto di quelle situazioni che, pur non essendo disciplinate, né diffuse al tempo della redazione del documento, devono tuttavia esservi ricomprese in quanto tendenti al medesimo scopo.
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